Le due facce della solitudine – L’uomo antico alle prese con la solitudine

All’interno del lungo percorso evolutivo dell’uomo, la solitudine sembra aver cambiato molte delle sue caratteristiche primordiali, evolvendosi di pari passo con i progressi condotti dall’umanità. In tal senso si possono osservare tali mutamenti consultando un testo a cui si farà spesso riferimento: Storia della solitudine. Da Aristotele ai social network, di Aurelio Musi.

La nascita della solitudine sembra essere avvenuta molto presto. Questo stato d’animo, infatti, lo si fa risalire al periodo preistorico, quando l’essere umano era ben lontano da quella evoluzione ultima che lo etichetta oggi come Sapiens.

All’interno di questo breve racconto, partiremo col descrivere la solitudine rapportata con le origini della nostra specie, evitando di menzionare la stessa in relazione con altre specie animali, soggette anch’esse a questa condizione riferita, probabilmente erroneamente, al bipede pensante.

Nel caso specifico, riguardante la storia dell’uomo, la solitudine ricopre un ruolo fondamentale, capace di far pendere l’ago della bilancia tra la vita e la morte. Agli albori dell’umanità, la solitudine era solo in parte uno stato d’animo.

La volontà di far parte di un gruppo, di vivere con esso e di cooperarvi, rappresentava la principale fonte di sopravvivenza. Vivere da soli; soggetti ai predatori giorno e notte; con difficoltà nel procacciare cibo; accendere e tenere vivo il fuoco; senza alcun punto di riferimento; con l’incapacità, probabilmente, di progredire, permettendo all’intelletto di studiare nuovi piani di vita, sembrano essere i principali indiziati capaci di creare quel vuoto descritto spesso come quello stato d’animo chiamato, appunto, solitudine.

È probabile che la visione negativa di questa condizione umana nasca proprio in quel periodo della preistoria dove l’essere umano primitivo ricercava il gruppo, principalmente per puro istinto di sopravvivenza. In questo caso ci si riferisce a una sopravvivenza fisica, molto diversa da quella emotiva a cui oggi si fa riferimento.

È la scienza a indicare il funzionamento di quello stesso meccanismo primordiale, descritto come l’innesco di quelle sensazioni capaci di condurre l’essere umano moderno verso la visione negativa della solitudine. Secondo quanto appena affermato, il processo psichico riguardante la solitudine è rimasto pressoché inalterato, nonostante le condizioni di vita dell’essere umano siano nel tempo radicalmente cambiate, lontane adesso dai pericoli naturali a cui era soggetto in passato.

Facendo un balzo in avanti nella storia, non possiamo non citare la cultura greca che, con i suoi pensatori e filosofi, ha cercato di dare un volto al sentimento umano posto all’attenzione del lettore. Troviamo nell’antica Grecia, culla dell’arte in grado di creare le basi riguardanti un cambio di pensiero radicale nella vita dell’essere umano, voci contrastanti sul conto della solitudine.

È probabilmente il drammaturgo greco Eschilo a dipingere un quadro negativo sulle fattezze della protagonista di questo lavoro. Colui che viene considerato il padre della tragedia greca, poeta tragico per antonomasia, Eschilo considera questo stato d’animo come nient’altro che fonte di sofferenze, al pari di una via senza ritorno verso la follia. Secondo il suo pensiero, la solitudine è capace di far sorgere nello stesso essere umano quel doppio analizzato ampiamente dai filosofi, e che noi, figli di questo XXI secolo, probabilmente etichettiamo, più per comodità e immediatezza, nel curioso caso che vide protagonista il famoso dottor Henry Jekyll. Di diverso avviso è Sofocle, come Eschilo figlio dell’antica Grecia, e come lui drammaturgo.

Il suo pensiero è diametralmente opposto rispetto a quello del collega: nel suo Epistulae morales ad Lucilium, raccolta epistolare scritta da Sofocle negli ultimi mesi di vita, e quindi dopo una maturazione filosofica ben definita, afferma che:

 «Voglio dire che dopo essere stato fra gli uomini ritorno a casa più avaro, più ambizioso, più libero e persino più crudele e più umano».

L’insegnamento sembra sancire un netto distacco dalla visione della solitudine esposta da Eschilo. Sofocle sembra invitare l’uomo del suo tempo, ma anche quello moderno, a non estraniarsi dalla società, dal contatto umano fonte di discussione e confronto. Allo stesso modo, ci incoraggia a ricavare del tempo per noi, per poter godere dl quella Solitudine costruttiva, buona per poter migliorare noi stessi e, di riflesso, dare un contributo reale all’interno della società.

Rispetto alla ferma negatività espressa da Eschilo, Sofocle si fa portavoce, mettendo in campo la solitudine costruttiva come virtù, di quel concetto di democrazia nato proprio in Grecia. Questo concetto vede tutta la comunità partecipare alla vita pubblica, svolgendo un lavoro introspettivo atto a far progredire la società umana in tutti i suoi aspetti. Per quanto il diktat risulti pressoché lo stesso anche nei secoli successivi, ben diverso sembra essere il ruolo della donna. Come Aurelio Musi ci spiega, è lei a subire, in maniera forzata, un isolamento non voluto. È su di lei che il lato negativo riferito allo stato d’animo sembra manifestarsi in maniera pressoché assoluta.

Armando

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