La Leggenda di Leon

A cavallo tra XVIII e XIX secolo, la vita di un ragazzo, figlio della nobiltà di quel tempo, si scontra con quel periodo storico ricordato come Risorgimento Italiano. Mai, neppure nei suoi incubi peggiori, il Barone Leonardo Cortese avrebbe immaginato di essere trascinato in una contesa capace di coinvolgere gli attori più improbabili, pronti a mettere il punto esclamativo su una questione capace di coinvolgere tutta la penisola. Con l’aiuto del caro Luigi Tieri, suo precettore, del maggiordomo Antonio e di pochi fidati amici, il giovane Leonardo cerca di farsi strada nel difficile cammino della vita… con risvolti del tutto inaspettati.  

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Capitolo I

La mia storia inizia in una giornata di pieno inverno. Qui l’inverno, però, non è proprio come ci s’immagina debba essere. Un alito di vento freddo che sale dal mare è accompagnato da un sole caldo, quasi primaverile. Vagavo per il palazzo alla ricerca di qualcuno che potesse, anche se per poco, passare un po’ di tempo con me. Avere dieci anni ed essere l’unico bambino presente in un contesto di soli adulti non era facile. Quella mattina trovai una delle ragazze nelle mie stanze, intenta a risistemarle.

Era molto giovane, capelli neri raccolti in una coda di cavallo, mani tozze e rovinate, le sue dita sembravano rami secchi. Non conoscevo il suo nome. Mi nascosi dietro la porta per guardarla intenta nel suo lavoro.

Quando mi vide, mi sorrise dolcemente:

«Buongiorno, signorino Leonardo. Non restate sulla porta, entrate. Scusatemi se non ho ancora finito».

Credo di aver provato un po’ d’imbarazzo per questo inaspettato, ma tanto sperato, dialogo. Cercai di risistemare le idee in modo da non chiudere troppo presto quella conversazione così preziosa.

«Non volevo disturbare il vostro lavoro». Fu l’unica cosa che riuscii a dire, diventando, allo stesso tempo rosso come un peperone. La ragazza, con un lieve sorriso, mi rispose mentre mi si avvicinava: «Siete davvero molto gentile, signorino Leonardo». Si chinò, sistemandomi la camicia nei pantaloni. Preso alla sprovvista da quel semplice gesto diventai muto. Si trovava a pochi centimetri da me e, mantenendo quello splendido sorriso sulle labbra, prima mi accarezzò una guancia e, successivamente, mi diede un bacio. Gesti semplici ma che nessuno della servitù si era mai permesso a fare. Tutti gli inservienti erano intimoriti da mio padre, il Barone.

La ragazza doveva essere nuova perché non esitò a dialogare con me, come fossi un bambino qualsiasi, lasciando le sue mansioni per potermi dedicare un po’ del suo tempo.

Quella povera ragazza era impreparata alla vita di palazzo. Visto il mio mutismo, combinazione di stupore misto a gioia per quei piccoli gesti d’affetto, fu lei che continuò a parlare:

«Siete davvero un bravo bambino, signorino Leonardo, vi voglio ben…», non ebbe il tempo di finire quella frase che lui arrivò, o si trovava sulla soglia d’ingresso delle mie stanze chissà da quando, questo non saprei dirlo.

I suoi pochi capelli rimasti coprivano a stento la parte laterale e posteriore della testa. Era grasso, tanto che il doppio mento rischiava di scivolare giù per terra, quasi fosse burro fuso. Accortosi di quella intimità e, soprattutto, vedendomi in compagnia di una delle inservienti, andò su tutte le furie, iniziando a inveire contro di me, freddando con lo sguardo la ragazza. «Sei il solito buono a nulla, Leonardo!!!».

Così tuonò mio padre. La poverina cercò di parlare, forse nel tentativo di giustificare l’accaduto, ma venne subito bloccata. «Tu sta’ zitta, sguattera, torna al tuo lavoro altrimenti saranno guai anche per te».

Ero spaventato, e lo era anche lei, colpevole di avermi dato attenzioni per pochi minuti. Lei, dopo essersi scusata, tornò alle sue mansioni…

Armando