Le due facce della solitudine – La solitudine di Marilyn

Non sono interessata al denaro. Voglio solo essere meravigliosa.

Marilyn Monroe

Sul conto di Marilyn Monroe si è detto e scritto di tutto, soprattutto nel corso degli ultimi cinquant’anni, successivi a una morte prematura, a soli 36 anni, velata, a detta delle tante cronache, da un alone di mistero mai svelato.

In questa sede si proverà a cambiare prospettiva, analizzando sotto una luce diversa la vita di Norma Jeane Mortenson, consegnata alla leggenda come nient’altro che Marilyn Monroe.

Non è difficile reperire materiale cinematografico ed editoriale sul conto della nostra protagonista. Della sua vita conosciamo molte sfumature di una esistenza condotta per buona parte sotto i riflettori ma vissuta, come vedremo, in una penombra dove la solitudine maledetta sembra essere stata la sua unica compagna di percorso.

Già dall’infanzia il suo cammino fu tutt’altro che tranquillo e spensierato. Abbandonata dal padre, con una madre mentalmente instabile, a cui verrà diagnosticata la schizofrenia, la piccola Norma si ritrova a vivere una situazione dove le certezze degli affetti più cari vengono meno, così come quella sicurezza propria di quell’ambiente familiare mai vissuto. È probabilmente questo momento della sua vita, fatto di instabilità, a forgiare in negativo il carattere della ragazza. È lecito pensare a una vulnerabilità, probabilmente mai notata dal cine spettatore, sfruttata da chi vedeva in quel faccino pulito e simmetrico nient’altro che un oggetto da poter mostrare in società.

Dopo vari trasferimenti all’interno di orfanotrofi e famiglie temporanee, a prendersi cura della sfortunata bambina fu la migliore amica della madre, Grace Mckee. L’arrivo di questa donna nella sua vita coincide con il punto di inizio che la porterà a diventare quella stella di Hollywood conosciuta su tutto il globo. La Mckee, infatti, lavora come archivista di pellicole per la Columbia Pictures, società tra le più importanti nel settore del cinema, impegnato a quel tempo, siamo sul finire degli anni 30’, in un difficile passaggio tra cinema muto e sonoro.

Prima che tutto ciò avvenga, la giovane Norma cerca di darsi pace da una sofferenza di cui nessuno sembra accorgersi. Per cercare di vivere un contesto familiare stabile e felice, Norma decide, a soli sedici anni, di convolare a nozze con un suo compagno di liceo, James Dougherty.

In questo momento della sua vita potrebbe essere avvenuta la scissione definitiva tra il lato intimo e quello puramente estetico della futura diva. La bambina stava diventando una donna, saltando completamente quella fase adolescenziale, seppur diversa da questi tempi moderni, fondamentale per la maturazione dell’individuo.

Gli uomini iniziano ad apprezzare le sue forme, il suo portamento, all’apparenza sicuro, e quello sguardo malizioso che sembra trapelare da ogni sua occhiata.

È probabile che una prima consapevolezza di queste armi si sia manifestata nei pensieri della ragazza proprio in fase adolescenziale. Il matrimonio non dura a lungo, solo quattro anni, ma un nuovo amore sembra travolgere la nostra protagonista: posare davanti a un obiettivo.

Una volta scoperta dal fotografo André De Dienes, per la ragazza ormai donna, si aprono le porte del successo. Norma Jeane Mortenson, per il mondo, non esiste più. Il suo posto viene preso da ora in avanti da Marilyn Monroe. Inizia una carriera tra alti e bassi, dove la Monroe si rende sin da subito conto di essere il volto e il corpo perfetto per interpretare la Femme Fatale, il sogno di ogni americano e non solo.

Attratti dalla bionda da sogno, il pubblico, la stampa, gli impresari e gli addetti ai lavori, sembrano disinteressati alle caratteristiche, alla bravura e alla cultura di quel volto statuario, sorridente e tanto malizioso.

Sarà questa la sua croce e delizia. Marilyn si ritroverà in una situazione certamente voluta e ricercata in un primo momento ma che, nel giro di pochi anni, le si ritorce contro.

Infatti, la Monroe è tutt’altro che una bambola da esibire in pubblico. A riprova di ciò, è facile reperire in rete una bella fotografia di Marilyn sorridente e, almeno in apparenza, tranquilla, impegnata nella lettura de l’Ulisse di James Joice.

Lo scatto, eseguito da Eve Arnold nel 1955, potrebbe essere un tentativo di riabilitare, o quantomeno provarci, il lato culturale di una diva apprezzata in tutt’altre vesti.

A Marilyn l’etichetta di donna giocattolo, femme fatale o che dir si voglia, iniziava a stare stretto. La stessa amplificava quel malessere nato in tenera età, disturbato e ridotto nel corso di una carriera, seppur breve, fatta di tanti, troppi impegni. Tra un film, una apparizione e uno scatto fotografico, la volontà della Monroe di ricreare un nido familiare è sempre stato il suo sogno nel cassetto. Il tutto si risolse con un nulla di fatto, nonostante i due matrimoni successivi. Il primo con la stella del baseball Joe Di Maggio, durato solo nove mesi, per colpe da imputare, anche se non totalmente, alla gelosia dell’uomo.

Marilyn, infatti, è costretta a vestire i panni di una donna che non la rappresentava più, ma che gli impresari, il pubblico e tutta la dorata Hollywood avevano battezzato come l’unica sua versione accettata in società. Dallo sportivo si passa a un uomo forse più vicino alla cultura rispetto alle sue storie passate.

Il drammaturgo Arthur Miller rappresenta, chissà, per la bionda americana l’ultima spiaggia, l’ancora di salvezza in grado di realizzare i sogni diametralmente opposti a quelli formati da fama e denaro promessi dalla capitale del cinema americano. Le biografie che vedono al centro la figura di Marilyn Monroe, tra cui l’interessantissimo lavoro dello scrittore Anthony Summers, Dea. Le vite segrete di Marilyn Monroe, sembrano concordi sul considerare questo periodo di vita come quello probabilmente più felice vissuto dalla nostra protagonista.

Qualcosa, però, nei meandri più profondi dell’animo di Marilyn si rompe. Ad arrivare come una sentenza inoppugnabile si presenta quella consapevolezza capace di distruggere una volta per tutte una donna mai davvero apprezzata. Tutti la vogliono, la cercano ma nessuno sembra stimarla appieno.

È il corpo di Marilyn l’oggetto del desiderio, a nessuno sembra importare della donna nascosta dietro a quel sorriso iconico.

La sua cultura, le sue idee, il suo pensiero così vasto e articolato non viene mai preso in considerazione né nel privato né nel pubblico. La sua vita potrebbe essersi sgretolata davanti ai suoi stessi occhi, divenuta insopportabile dopo aver constatato quanto detto fino a ora. È una Marilyn incompresa, lontana da tutto e da tutti, un fiore nel deserto costretto a resistere a una tempesta di sabbia potente come mai prima d’ora. La solitudine non aiuta, anzi, nel caso in esame, si trasforma in sofferenza. La Monroe non si dà pace.

Quindi, cosa fare?

Provare a dare a mondo quello che vuole. Dopo quest’ultima affermazione, torniamo alla frase che ha aperto questo cammino attraverso la vita della diva.

Marilyn cerca di essere ancora più meravigliosa agli occhi del mondo. Falliti tutti i buoni propositi, riguardanti la famiglia e la cultura, la nostra protagonista prova a diventare qualcos’altro. Per cercare di mettere a tacere la maledetta solitudine, si avvicina all’unico uomo in grado di poterla trasformare, nel vero senso del termine, in una prima donna.

Archiviato anche il terzo matrimonio, gli occhi e le attenzioni della Monroe ricadono sul giovane presidente degli Stati Uniti d’America, John Fitzgerald Kennedy.

Nonostante fosse un uomo sposato, la donna più desiderata d’America è sicura di poter sbaragliare la concorrenza. A venir meno, in questo caso, fu proprio il suo fascino.

A tradirla fu la sua arma migliore, quel corpo e quello sguardo capaci di far innamorare uomini dei cinque continenti… ma non quell’uomo, così come riportato dalle cronache scandalistiche, e non, dell’epoca. J.F.K. non considererà mai la Monroe più di un passatempo. È la rottura definitiva.

Marilyn sprofonda nell’abisso nero della depressione. Tra il 1960 e il 1962, nonostante una parentesi rosa, confortata da Robert Kennedy, fratello dell’illustre presidente, la Monroe diventa dipendente da droghe e alcol. Le luci del palcoscenico e le grida della folla che la innalzavano a dea in terra non servono più. Nessuno di loro la conosce, sconosciuta persino a sé stessa, rimasta probabilmente più Norma rispetto alla Marilyn magia uomini.

Nessuno, neanche lei, sapeva che la fine era ormai dietro l’angolo. Il cinque agosto del 1962 le luci si spengono definitivamente sulla vita della diva. La sua morte alimenta voci e leggende che la vedono vittima di un complotto con una trama da film di spionaggio, più che di vita vissuta.

Sembra quasi passare inosservata la sua stessa morte, avvenuta in completa solitudine, quasi fosse una ennesima beffa nei confronti di quella donna accettata in società per la sola bellezza estetica.

Mettendo la sua tragica fine in relazione con la solitudine, proviamo a vivere insieme a Marilyn le sue ultime ore di vita. Arrivata a 36 anni, certamente diversi rispetto agli stessi del XXI secolo, la donna conosciuta a livello globale come Marilyn Monroe si ritrova, una volta ancora, a tirare le somme della sua esistenza. Ammirata, apprezzata e desiderata, si rende conto, forse con una consapevolezza diversa rispetto al passato, di essere considerata nient’altro che una donna oggetto. La vita corre via insieme ai suoi anni.

La ragazza d’America è sempre più avvicina alla maturità, terrorizzata dalla possibilità di chiamarla vecchiaia, sicura che la sua bellezza la tradirà da lì a poco, così come hanno fatto un po’ tutti nel corso della sua tormentata esistenza.

Giovani artiste si stanno affacciando sulla scena mondiale, pronte a rimpiazzarla al primo passo falso. È sola nella sua stanza, costretta a confrontarsi con quel malessere con cui convive e combatte da ormai troppo tempo.

Le droghe, tra cui i fatali barbiturici, sono diventati il suo ultimo scudo contro uno stato d’animo divenuto troppo più forte, soprattutto dopo la delusione Kennedy. In un momento di disperazione, forse inavvertitamente, manda giù più pillole del previsto. La pace non arriva, anzi, si trasforma in un dolore fisico mai provato prima.

È al letto, le forze vengono meno, non è pronta a quello che sembra dover accadere da lì a poco. Non è pronta alla morte, la speranza di un futuro migliore, con una famiglia tutta sua, apprezzata per doti diverse dal suo viso e dal suo corpo possono ancora diventare la sua salvezza.

Cerca disperatamente di chiedere aiuto. Non ci riesce. La gola si chiude, le palpebre diventano pesanti. Con le ultime forze rimaste, riesce ad arrivare al telefono. Subito dopo, tutto diventa buio. L’overdose è in corso, Marilyn perde conoscenza.

La maledetta solitudine è l’unica entità presente all’interno della stanza. In silenzio osserva gli ultimi momenti di vita della diva per antonomasia, cercata da tutti ma voluta da nessuno. La cornetta rimane in bilico nella sua mano, i suoi ultimi respiri sono scanditi dalla linea libera, pronta a ricevere quell’input che non arriverà mai.

Il resto è consegnato alla storia, alla leggenda di una donna poco apprezzata, idolatrata dal pianeta intero. È costretta a fare i conti con una maledizione in grado di mostrare quel malessere mai espresso davvero ad alta voce, lo si voglia per dignità o per negazione nei confronti di un male visto, dagli occhi di chi lo subisce, come uno stato d’animo possibile da arginare e gestire.

Armando

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