Le due facce della solitudine – La maledetta solitudine

Il titolo di questo articolo sembra essere perfetto per poter descrivere la società del ventunesimo secolo. In una vita dove nessuno vuole essere anonimo, tutti i cittadini del mondo provano, come disse un artista di fama mondiale qualche decennio fa, a ricavare il proprio tempo di celebrità:

Nel futuro ognuno sarà famoso nel mondo per 15 minuti

Andy Warhol

Chissà se l’artista americano aveva immaginato la possibilità di stare sotto i riflettori in qualunque posto e in qualunque momento. Certo è che lo stesso Warhol risulta profetico in quel 1968, anno in cui formulò il pensiero sopra riportato, tanto diverso dal mondo tecnologico che tutti noi stiamo vivendo.

Per provare a capire come la definizione di Maledetta solitudine possa essere stata coniata, è necessario fare un breve viaggio indietro nel tempo. La nostra attenzione è riservata a un secolo probabilmente unico nel suo genere.

In questo caso, l’innovazione tecnologica ha fatto passi da gigante, forse impensabili persino dalle menti più fantasiose. È con la nascita dei nuovi mezzi di comunicazione, nel XIX secolo, che questa nuova versione della solitudine inizia a farsi largo con estrema facilità. Con la nascita della fotografia, amplificata in maniera esponenziale dall’arrivo del cinema sul finire del secolo, l’anonimato e la riservatezza, prerogative del passato, lasciano il posto a una parola conosciuta fin troppo bene nel nostro quotidiano: Diva/o.

La voglia di apparire, uscendo da quella nicchia ristretta, fatta di amici, familiari e conoscenti, mettendo la propria faccia sulle copertine delle riviste, locandine e pellicole cinematografiche, fa sognare e gridare al successo il cittadino mondiale medio.

Da questo momento in poi, si scatena quella che possiamo considerare la corsa al successo e alla notorietà. In questa nuova visione della solitudine, sembra venirsi a creare una ulteriore scissione. La prima riguarda tutti quegli individui, donne e uomini senza distinzione alcuna, che per sfortuna, mancanza di abilità particolari o per negligenza verso una attività considerata, a torto, facile e alla portata di tutti, subiscono la sconfitta.

Questi soggetti vengono estromessi da quel mondo che prometteva luci della ribalta e notorietà infinita. 

Alla delusione si aggiungono le voci del popolo, pronto ad alimentare quel sentimento negativo già di per sé difficile da gestire. Il tutto si concretizza con un allontanamento volontario dalla società.

Il mancato arrivo a quella meta fa provare vergogna, fa sentire il protagonista di tale sconfitta incapace anche nelle mansioni probabilmente più adatte alle sue caratteristiche. In tale situazione si insinua la prima faccia, quella definita come solitudine distruttiva. Come un virus silenzioso la stessa sembra indicare con quel fallimento una unica strada percorribile: quella dell’autodistruzione.

Il malcapitato cercherà di evitare il prossimo, spaventato dai commenti che quest’ultimo potrebbe fare a riguardo di quella esperienza negativa.

Attenzione: il suo ripudio verso il prossimo, in molti casi, non è giustificato da una risposta negativa da parte dello stesso nei confronti del soggetto colpito dalla maledetta solitudine. Risulta essere più una idea strettamente personale, una possibilità vista, cogliendo in errore il protagonista di questa vicenda, come una certezza assoluta che, nella maggior parte dei casi, non si concretizza.

Infatti, il malessere provato dal soggetto posto in esame è solo ipotetico, in quanto lo stesso teme a priori il suo interlocutore.

Per evitare il concretizzarsi del suo pensiero negativo, preferisce restare ai margini della società, mantenendo un basso profilo rispetto all’idea primordiale, quella ribalta non concretizzatasi, divenuta adesso sinonimo di sofferenza.

Coloro che la notorietà l’hanno ottenuta, sono anch’essi soggetti alla maledetta solitudine?

C’è una affermazione che probabilmente ogni mamma, di ogni tempo, ha espresso almeno una volta nella vita nei confronti dei propri figli: non ti accontenti mai!

Probabilmente, è questa la frase simbolo in grado di far prendere forma, nella vita dei cosiddetti VIP, alla maledetta solitudine. Naturalmente, la stessa si adatterà al contesto storico, all’ambito lavorativo e di vita del soggetto e agli episodi che segneranno il cammino dello stesso.

Se per la prima sfumatura sin qui proposta ognuno di noi potrebbe trasformarsi nel protagonista, adattando su sé stesso quella visione maledetta riservata alla solitudine, nel secondo caso abbiamo la possibilità di affrontare esempi concreti vestendo i panni dello spettatore. In questa sede si è pensato di conoscere, e di far conoscere, meglio tre personaggi protagonisti del XX secolo. Hanno storie diverse, vite e ricordi più adatte a una fiction televisiva e tanta, troppa sofferenza da dover affrontare.

Sono state figure centrali del novecento… anche se, con molte probabilità, avrebbero fatto carte false per poter vivere una vita nel completo anonimato.

Armando

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