“I due tolsero tutte le pietre dal sacco e su ognuna videro o un altro volto, o motivi floreali, ed in ultimo uno più lungo con la scritta “Miner e forse metà della lettera V.” Don Arlocchi rimase a lungo a pensare ma non riusciva a capire cosa potessero significare quegli scritti e quei bei visi scolpiti. Poi, improvvisamente, come in un lampo gli apparve il Tempio Capitolino di Brescia che aveva visitato tanti anni prima durante una gita organizzata dal Seminario nel quale studiava. Era possibile che fossero reperti romani? Ma in Valcamonica? S ì, lui sapeva che i Romani erano passati anche in Valle, ma quelli era andati dappertutto, e non sapeva se avessero lasciato tracce. Comunque bisognava indagare.”
Un romanzo, questo di Ernesto Masina, capace di far respirare al lettore un’aria del tutto diversa dal nostro quotidiano. Don Arlocchi e il mistero della statua di Minerva ci trasporta, come farebbe una macchina del tempo, in un passato di cui non serbiamo memoria. Qui, in questo tempo, si svolgono fatti cruenti, espressi da un linguaggio capace di mettere a proprio agio il lettore proveniente da ogni dove. La semplicità dei dialoghi rispecchia le caratteristiche dei personaggi. Chi legge si sente inevitabilmente parte del contesto, inserito di diritto in un ambiante non suo ma che, allo stesso tempo, considererà tale dopo poche pagine. È questa la forza del Masina, rendere fruibile a qualunque tipo di lettore, dal più esigente arrivando fino a quello sporadico, un testo sembra essere l’obiettivo principale dello scrittore. Non si può non affezionarsi ai personaggi principali, primo fra tutti colui che ci traghetta verso la conclusione di una storia fatta di suspense, colpi di scena e tanta, tanta vita quotidiana. Una ennesima piacevole sorpresa, Ernesto Masina non delude mai.
Punteggio:
Armando