Questione di tempi: Charlie Chaplin – L’allontanamento e l’Oscar alla carriera

Come la vita spesso ci ha insegnato, nulla è per sempre. Lo sa bene Charlie Chaplin che, dopo aver dato lustro all’industria cinematografica, sancendo il dominio americano sul nuovo mezzo di comunicazione, quel fidanzamento destinato, agli occhi degli spettatori di tutto il mondo, a un felice matrimonio salta nel peggior modo possibile. Per decenni una lotta senza quartiere era andata in scena tra l’attore britannico e il governo degli Stati Uniti d’America, come abbiamo visto all’interno dell’articolo della settimana scorsa. Tra supposizioni, spavalderie da ambo le parti, dossier capaci di snocciolare la vita intera di Chaplin, questo litigio sembrava portare a un nulla di fatto. L’arrivo del sonoro, mai gradito al grande attore, stava cambiando completamente un’industria che i più credevano già completo. Il maestro del cinema muto mal digeriva tutto il successo che il suono stava riscuotendo, nonostante se ne servì, sebbene parzialmente, in alcune pellicole, tra cui Tempi moderni dove il pubblico poté sentire per la prima volta la sua voce, con riluttanza. Con la Seconda Guerra Mondiale ormai entrata nel vivo, Chaplin decise di allearsi con quella nuova possibilità per poter combattere la sua battaglia contro un nemico comune. Mai come in questo caso l’affermazione Il nemico del mio nemico è mio amico sembra calzare a pennello. Nel 1940 arriva il primo film dove Chaplin recita usando la parola. Questa pellicola non è un mero mezzo d’intrattenimento ma un vero e proprio manifesto contro il nazismo. Con Il grande dittatore, uscito nelle sale americane nel 1940, l’attore inglese fa il verso al capo supremo tedesco, quell’Adolf Hitler di cui abbiamo già parlato nella prima parte di questo lungo discorso. Nonostante tutti gli sforzi, il lavoro e l’arte messa a disposizione di quella nazione che lo aveva ospitato, è nell’immediato dopoguerra che a Chaplin venne dato il ben servito. Correva l’anno 1952, il sessantatreenne attore non era più il benvenuto negli States. La notifica di tale decisione, firmata dal procuratore generale degli Stati Uniti James McGranery, lo raggiunge a bordo della Queen Elizabeth, mentre è in viaggio per Londra dove si stava recando per presentare la sua ultima fatica cinematografica, Luci della ribalta, senza quindi dargli la possibilità di fare ritorno nel paese in cui viveva ormai da quarant’anni, sebbene non fosse mai diventato cittadino americano. Fu un duro colpo per Chaplin, la politica non guardava in faccia nessuno, nonostante un attore fosse in grado di fare molto di più per i cittadini rispetto ai burocrati, incravattati calcolatori che altro non facevano che ciarlare e puntare il dito su chi lavorava davvero. Non sono tempi fausti per i grandi artisti, fu il primo suo commento a caldo. Da quel giorno passeranno venti lunghi anni prima di poter rivedere negli USA colui che aveva fatto ridere generazioni di americani. Dal suo esilio in Svizzera, Chaplin ritornò nella nazione che lo aveva accolto più di cinquant’anni prima il tre aprile 1972, giorno in cui ricevette l’Oscar alla carriera meritando il fiume di applausi e la standing ovation riservate solo alle vere leggende. Si chiude una delle carriere più straordinarie del cinema muto, iniziata tra i vicoli di Londra, senza la guida e l’affetto dei parenti più prossimi, dove il sogno di una vita migliore, nonostante le peripezie a cui la vita ci sottopone, tutto sommato sembra essere diventata realtà.

Armando

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