Le due facce della solitudine – Einstein e Bohr: la solitudine costruttiva dello scontro

Lo scontro fra i fisici Albert Einstein e Niels Bohr è, tra gli altri, quello passato alla storia. Non solo per la tematica frutto di tale diverbio, la fisica quantistica, ma soprattutto per il loro modo di condurre il duello sul campo da veri signori illuminati.

I due fisici si possono considerare agli antipodi l’uno dell’altro. Bohr proveniva da una famiglia cosiddetta di classe elevata, a cui piaceva fare sport e passare del tempo all’aria aperta.

Einstein, invece, era molto sedentario, amava ascoltare la musica e intrattenere rapporti epistolari con amici e colleghi.

Entrambi, però, erano accomunati da quella che era più di una professione. La si può considerare senza errore e senza indugio una vera e propria ossessione: la fisica.

È questo l’ambito in cui la solitudine prende forma, esiliando i nostri protagonisti all’interno dei propri laboratori alla ricerca di risposte.

Proprio la ricerca diventa terreno di scontro tra i due. Ci troviamo nella seconda metà degli anni venti del novecento, protagonista di quei tempi è la già citata teoria dei quanti, argomento che stava facendo letteralmente ammattire, come fa tutt’ora, le menti più geniali di ieri e di oggi. A colpi di pubblicazioni sul tema, ci si rese conto fin da subito che Bohr e Einstein avevano una visione diametralmente opposta l’uno dall’altro. Il tedesco non si fa attendere e, utilizzando il mezzo favorito, scrive al collega per tenerlo informato del suo pensiero in merito a una questione dibattuta da tutto il mondo scientifico del tempo. Alla luce di questo contatto, è bene formulare una domanda:

Che tipo di scontro ebbero i due?

Come la solitudine costruttiva ci insegna, tra i due si instaurò un rapporto di incontro – scontro atto a discutere sul tema che entrambi stavano sviluppando. Incontro perché tra Bohr e Einstein non solo c’era l’ascolto reciproco ma, cosa fondamentale, un rispetto che andava oltre l’ostacolo riguardante la visione opposta riservata alla fisica quantistica.

Lo scontro, mai volgare, riguarda le punzecchiature condotte, come detto, per via epistolare e proseguite, come la Greison ha ampiamente illustrato nel testo a cui si è fatto riferimento, di persona. Gettando uno sguardo aldilà del tema affrontato dai due, di cui non si farà cenno, rimandando il lettore verso testi completi riguardanti la fisica quantistica, a far riflettere sono i modi di fruizione della solitudine e il rapporto che il soggetto in esame, isolatosi in maniera autonoma e costruttiva, ha con il prossimo all’interno della società.

Il loro dialogo – dibattito, fatto di informazioni, giochi, persino sarcastico in alcuni frangenti, ha un imperativo categorico: rispetto verso il lavoro e il pensiero del prossimo.

È questo il lieto fine di un dialogo dove la cultura sembra elevarsi a giudice supremo tra i due contendenti. Questi ultimi, attenti a cogliere ogni sfumatura dell’altro in merito al tema in discussione, in modo da poterne carpire le lacune o, al contrario, riflettere su errori commessi, si ritroveranno a vivere una situazione dove entrambi ne usciranno più ricchi di informazioni e sicuramente migliori.

La solitudine costruttiva, per chi scrive, sta tutta in quest’ultimo passaggio. Per dovere di cronaca, in questa sfida a colpi di scienza, uno dei due fu costretto a sventolare bandiera bianca, decretando la vittoria del rivale. La sconfitta, ai danni di Albert Einstein, arrivò la sera del 29 ottobre 1929.

La sede di quell’ultimo scontro fu Bruxelles, mentre era in pieno svolgimento il V congresso Solvay riservato, appunto, alla fisica. Dopo la magnifica cena di gala, tra divertenti aneddoti e discussioni scientifiche e non, fu lo stesso fisico tedesco a dichiararsi sconfitto.

Lo fece come il costume del galantuomo intellettuale detta le regole, con una perfetta frase a effetto:

Dio non gioca a dadi… ma questa volta ha fatto un’eccezione.

È probabilmente il più grande e importante insegnamento portato in società da una mente aperta, libera di stare da sola, umile quando si interfaccia con il mondo esterno. È pronta, nel momento in cui risultasse necessario, a dire ho torto nel momento in cui una conversazione costruttiva permette una consapevolezza atta a far riflettere sul proprio operato e, di conseguenza, di garantire un miglioramento in un prossimo futuro.

Armando

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