Come accennato all’interno dell’articolo della settimana scorsa (eccolo), i neonati e i bambini fino a una certa età (circa tre anni) non sembrano percepire il tempo come un qualcosa di presente, reale e tangibile intorno a loro. È assurda, per noi adulti, una situazione del genere. Eppure, bambini lo siamo stati, semplicemente non ci ricordiamo di aver vissuto una situazione simile. Quindi ci si potrebbe chiedere con tranquillità quanto segue:
Se questa affermazione è vera, perché oggi sento bisogno del tempo?
Con la stessa tranquillità la risposta arriva puntuale: per assuefazione. Esatto, siamo assuefatti dal tempo. Siamo stati così bombardati da esso nel corso della vita che oggi fatichiamo, neghiamo, una situazione dove il tempo non sia altro che pura fantasia, un qualcosa di artificiale che dirige, gestisce e veicola le nostre azioni. Semplicemente non abbiamo più ricordi di come era la vita prima dell’imposizione del tempo. Seppur non trattando nei suoi studi il tempo in sé per sé, Jean Piaget, noto psicologo e pedagogista svizzero, ha raccontato l’infanzia dividendola in quattro stadi ben definiti:
Stadio senso-motorio da 0 ai 2 anni
Stadio pre-operatorio dai 2 ai 6 anni
Stadio operatorio concreto dai 6 ai 12
Stadio operatorio formale dai 12 anni in poi
Focalizzando la nostra attenzione sui primi due stadi possiamo trarre delle considerazioni su quello che eravamo e quello che oggi siamo. Prima dei sei mesi di vita, ovvero quel periodo in cui il bambino ancora non parla, condurlo sulla strada del tempo sarà difficile, per non dire impossibile. In questa fase di vita il tempo non prende parta attiva dell’esistenza di un individuo in quando, non avendo ancora il mezzo del linguaggio per poter interagire con il mondo esterno, non è ancora capace di porsi alla pari di chi lo circonda. Ci vorranno i sei mesi di vita per vedere i primi cambiamenti. Da qui fino all’arrivo della parola il bambino avrà modo di imitare le movenze e il linguaggio di tutto quello che gli sta intorno. È da questo momento in poi che inizierà a intravedere il tempo. Quello del dialogo, del pasto, della nanna, saranno i primi step che lo condurranno a percepire il tempo e a interagire con esso. Naturalmente è ancora presto, sono solo i primi passi verso una condizione che lo accompagnerà per tutta la sua vita. Infatti, ci vorrà molto più tempo per assistere a quella disciplina dettata dalla società, quella che ci impone i tempi di vita, per dirla in parole povere. Dai tre anni in poi, ovvero da quanto inizierà a frequentare la scuola materna, il bambino si confronterà attivamente con il tempo. Sveglia; colazione; lavaggio; ora di ingresso e di attività prestabilite in ambito scolastico, fino al rientro a casa, dove nuovi impegni lo accompagneranno fino all’ora della nanna. È questa routine ha far nascere in noi la visione del tempo. Come già accennato in altri articoli, non si vuole di certo demonizzare il tempo. Esso è essenziale per noi e per la nostra vita. Questo lavoro vuole spiegare, seppur in modo strettamente personale e soggettivo, cosa sia davvero il tempo. Come ricorderete, siamo partiti dalla definizione di Einstein che negava il tempo (Il tempo non esiste!) per arrivare oggi a capire come abbiamo sviluppato lo stesso in modo da poter vivere nel miglior modo possibile la nostra esistenza.
Armando