Questione di tempi: Robin Williams – Il trasformista perfetto

Da Mork a Mrs. Doubtfire, passando per Andrew Martin, Jack e Peter Pan, sono questi alcuni dei personaggi che hanno visto come protagonista il buon Robin Williams. Citarli tutti sarebbe impossibile. Con una carriera lunghissima, fatta di televisione, cinema e teatro, l’attore americano si candida a essere il Trasformista perfetto di questo mondo fatto di arte e tanto, tanto lavoro. La sua malleabilità gli ha permesso di prendere parte alle più svariate situazioni. Dalla commedia pura al thriller, con ottime partecipazioni anche in ruoli particolarmente drammatici come in Good Morning, Vietnam, non c’è stato momento in cui l’artista si sia rivelato inadatto al ruolo che ha ricoperto. Perfetto, meraviglioso, unico nel suo genere, Robin Williams è stato in grado farci ridere, piangere e riflettere come nessun altro. La sua grande comicità non è mai stata d’intralcio alla sua carriera. Infatti, a differenza di Jim Carrey, relegato da pubblico e critica alla sola commedia, nonostante le ottime interpretazioni in ruoli ben diversi, di cui voglio ricordare in questa sede il film Eternal Sunshine of the Spotless Mind, presentato malamente in Italia con il titolo Se mi lasci ti cancello, le porte di Hollywood gli furono spalancate a trecentosessanta gradi. E questo è il personaggio, l’attore, il professionista di palco, piccolo e grande schermo. Ma chiediamoci:

Che ruolo ha avuto in tutto questo il Robin Williams uomo?

Come già accennato all’interno degli articoli precedenti, rispetto a Edgar Allan Poe e Charlie Chaplin, l’amato attore americano non sembra essere riuscito a trovare una sua dimensione capace di far coesistere l’uomo con il professionista. Il grande talento si scontra con le fragilità umane, trascinando nel baratro quella parte nascosta agli occhi dello spettatore. Nessuno di noi, infatti, ha mai sospettato dei tormenti che stava vivendo colui che con il suo viso sempre sorridente, con le sue mosse imprevedibili ed esilaranti, era in grado di mascherare tanto bene. Fino adesso, nel corso del discorso riservato alla Questione di Tempi, ci siamo resi conto di quanto sia stata fondamentale la maschera sociale per alcuni individui. Con Robin Williams la situazione prende una piega ben diversa. Si è ritrovato un armadio pieno di maschere, tutte buone in apparenza per poter far fronte alle difficoltà della vita, divenute con il passare del tempo un grosso problema per potersi mostrare al mondo. Sembra quasi che noi tutti, compresi familiari e amici stretti, non siamo stati in grado di capire appieno cosa davvero provava l’uomo nascosto dietro tutto questo. Abbiamo continuato a ridere con lui e di lui, dimenticandoci che nascosta tra quelle risate era presente quel malessere di vivere che, da sempre, aveva portato Williams a cercare ristoro in abitudini tutt’altro che salutari. Pirandello parlava di maschera non di maschere. Robin si è trovato a vivere sulla sua pelle una dimensione che nessuno di noi dovrebbe mai provare. Sembra quasi che non avesse più un punto di riferimento su cui fare fronte. Troppi erano stati i ruoli che aveva ricoperto tanto da vanificarne l’identità. È una costatazione strettamente personale questa ma, analizzando bene vita e carriera, non ho trovato parole migliori di queste. Robin Williams ha condotto la sua vita come un essere a sé, costretto a vestire panni diversi nel tempo per poter essere accettato, per poter proseguire un cammino di vita diventato, tra una risata e l’altra, un vero e proprio calvario.

Armando

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