Questione di tempi: E. A. Poe – il corvo

Come spesso i fumetti ci hanno insegnato, per poter far fronte a un dolore, alle incertezze, o semplicemente per poter conservare l’anonimato, in modo da poter agire nel migliore dei modi, una maschera risulta l’arma migliore contro il male, contro la società e, non di certo ultimo, contro sé stessi. Questo l’Edgar Allan Poe adulto lo ha imparato forse troppo tardi. È, infatti, il 1845 quando lo scrittore americano propone al mondo una poesia capace di sorprendere la critica del tempo. Il corvo è certamente questo per molti lettori, critici, appassionati di letteratura o semplici curiosi. Per Poe, invece, diventa la sua maschera, una sorta di ultimo tentativo di poter affogare, definitivamente, i dolori infantili e poter godere di quella tranquillità che, come sappiamo, non riuscirà mai a trovare in vita. Il Poe di allora era noto al grande pubblico come autore di buon successo, capace di dare vita a nuovi generi letterari e farne uscire altri già esistenti dai canoni contestualmente accettati; un critico spietato quando c’era da recensire un testo e un uomo davvero strano, per quanto culturalmente impareggiabile, con cui avere a che fare. Sarà stata colpa dei testi forti, cruenti e innovativi, come abbiamo visto all’interno degli articoli che hanno preceduto questo, a disegnare su di sé questa aura tetra. Sarà stato il suo approccio alla vita a permettere al seme di questo nuovo personaggio di far presa in una società in modo da mettere radici e di essere ricordato, probabilmente, in eterno. L’arrivo del corvo coincide con il cambio di abiti dello stesso Poe. Che sia stato un qualcosa di non pianificato o studiato a tavolino non saprei dire, fatto sta che l’intuizione sembra conferire all’autore stesso una nuova maturità, nonché identità, accompagnata da una maschera in grado, almeno in parte, a coprire i tormenti di una vita. Credo sia questo il punto che la società dell’epoca, e non solo, ha tralasciato nel momento della dipartita, a oggi controversa, dello stesso autore americano. È probabile, a mio modo di vedere, che quella stessa maschera, questa aura tetra già presente prima della pubblicazione della famosa poesia, si sia ritorta contro il suo stesso creatore. Molto spesso, l’etichetta che si cerca di mostrare in società, e su questo punto Luigi Pirandello ci ha illustrato praticamente tutto, non coincide con la visione del nostro vero IO. Piuttosto che far avvicinare qualcuno questa rischia di causare l’effetto opposto. Il corvo, e lo stesso Edgar Allan Poe, iniziano a incutere timore alle persone. La nuova figura sembra essere accolta con freddezza da colleghi e lettori, intimoriti da quell’uomo capace di spingersi troppo oltre per una società di certo abituata alle novità, si veda Frankenstein di Mary Shelly, ma emotivamente non ancora pronta a trovarsi l’incubo davanti. A mio modo di vedere la situazione, dopo aver condotto uno studio ampio sul personaggio, è in questa nuova intuizione che Poe cade definitivamente in quel baratro che lo inghiottirà, senza una risposta, solo quattro anni dopo.  

Armando

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