Prison Break: possibili pressioni da parte di case farmaceutiche?

Il mondo della ricerca, soprattutto quella che si occupa di malattie rare, lo studio di nuovi farmaci, per avere la meglio su quelle patologie che colpiscono con una sentenza definitiva, hanno bisogno costantemente di volontari. La ricerca si è sempre mossa in questo senso usando, all’interno dei suoi laboratori, cavie animali su cui testare i possibili futuri rimedi che ci consentiranno, in futuro, di star meglio. Nonostante negli ultimi decenni anche questa pratica si arrivata alla ribalta dei media, facendo scoppiare la rivolta del mondo animalista, se ne parla sempre troppo poco e, probabilmente, male. Questo articolo non vuole analizzare quest’ultimo punto ma, sulla sua scia, prova a porre le basi di una supposizione, perché è nient’altro che questa, che da tempo mi frulla in testa. Ho letto e ricercato molto in questo periodo per quanto riguarda il lavoro di ricerca. Quello che è venuto fuori è un dato molto significativo:

La ricerca condotta su esseri viventi diversi dall’uomo non è capace di dare tutte le risposte di cui abbiamo bisogno

Alla luce di ciò, credo sia abbastanza chiaro che le differenze con gli altri esseri viventi, nonostante con alcuni di loro condividiamo un patrimonio genetico molto simile e, inoltre, con altri siamo strettamente imparentati, l’evoluzione sembra aver creato una distanza tale da non essere colmata quando si parla di ricerca. Quindi, alla luce di tutto ciò, non posso non ipotizzare, non dimentichiamoci che si parla per ipotesi, nient’altro che pura fantasia di chi scrive, un quadro del genere dove le potentissime case farmaceutiche riescono a procurarsi il loro (s)oggetto di studio più prezioso: un essere umano vivo ma morto per il resto del mondo. Nessuno lo verrebbe a cercare; nessuno farebbe domande su un individuo visto morire da una platea di testimoni, insomma, il crimine perfetto. Non dimentichiamo che per fare ciò dovrebbe esserci il benestare di una tale quantità di persone e di autorità che metterebbe sul banco degli imputati lo stato (o gli stati) che si macchia di questo reato. È una questione delicata, che va affrontata con le pinze consone alla tematica. Quindi vado a chiedere a voi lettori:

La vita di un individuo per la salvezza di una comunità molto più grande, vale le sofferenze che dovrà affrontare?

Personalmente non trovo una risposta adeguata, sono troppe le incertezze che vengono fuori da questa mia supposizione. Certo, in tutta sincerità, non mi meraviglierei se tale pratica venisse accertata come veritiera in un futuro. Sappiamo bene di cosa noi esseri umani siamo capaci, nel bene e nel male.

Armando

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