Frutto perverso degli esperimenti di uno scienziato “apprendista stregone”, espressione di una visione apocalittica della scienza, la creatura di Frankenstein è tuttora la raffigurazione del “mostro” per eccellenza, materializzazione vivente delle nostre paure. Mary Shelley, cresciuta in un ambiente intellettuale di prim’ordine (nell’Inghilterra tra Sette e Ottocento), scrive – ispirandosi ai miti di Faust e Prometeo – uno dei più famosi bestseller di ogni tempo, che fin dal suo apparire (1818) suscita grandissima impressione e scandalo, guadagnandosi migliaia di lettori e rendendo di colpo famoso il nome della sua autrice. Oggi Frankenstein fa ormai parte (grazie anche alle numerosissime trasposizioni cinematografiche, fra cui quella di Kenneth Branagh, con Robert De Niro, prodotta da Francis Ford Coppola) dell’immaginario collettivo: una “porta oscura” della nostra mente dietro la quale – come ebbe a scrivere J. Sheridan Le Fanu – “il mortale e l’immortale fanno prematura conoscenza”. Introduzione di Riccardo Reim.
Cosa succede quando dio e l’uomo si ritrovano a porte dialogare? Beh, probabilmente quello che la cara Mary Shelly descrive all’interno di questo bello, e potentissimo, romanzo. Fosse stato pubblicato nei nostri tempi moderni probabilmente non avrebbe fatto lo stesso scalpore. Al contrario, l’epoca vittoriano lo ha consacrato, di diritto, come una leggenda di quel genere horror di cui la stessa autrice è capostipite. Il 1818, anno della sua pubblicazione, non era certo un periodo storico facile per poter toccare le corde, così sottili e delicate, che vedono la creazione, dio e la nostra stessa essenza umana sul banco degli imputati. Mary Shelly sembra voler esternare tutto il suo pensiero, senza peli sulla lingua ma senza, e qui sta il genio di un’autrice sublime, creare quello scandalo pronto a bussare alla sua porta. I pensieri più intimi del mostro, la creatura nata dalla mano di questo ingegnoso medico, divenuto onnipotente per la stessa, lasciano aperte le porte al lettore, libero di interpretarle a suo piacimento. Dall’altra, le tribolazioni del creatore, impersonato da un uomo di scienza divenuto divino dopo aver dato la vita in maniera del tutto artificiosa. Nonostante non siano tirati in ballo direttamente, in Frankenstein scienza e religione sembrano essere sul banco degli imputati, allo stesso modo in cui è chiamato in causa quell’essere umano incompleto, a tratti cattivo ma con un animo buono, non ancora in grado di prendere il sopravvento su quell’animale ancora non del tutto evoluto. Abbiamo ancora tanto da imparare da un romanzo di questo calibro, con due secoli sulle spalle ma sempre attuale, capace, forse per la nostra stessa incapacità, di dettare lezioni ancora buone all’interno della nostra epoca super tecnologica.
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Armando