Il genocidio dei tutsi del Ruanda. La Aushwitz africana

Spostiamoci in Africa. Anni 90’ del XX secolo. Il genocidio dei nativi americani è lontano e Auschwitz, con i suoi lager, inizia a essere opaco nella memoria del mondo. Ci troviamo adesso in un continente diverso, quella Africa che di genocidi, persecuzioni, saccheggi e quant’altro, ne ha subito innumerevoli nel corso della storia. Quello che vi propongo in questo articolo è l’ennesima persecuzione a fini religiosi che, di fatto, ha creato l’inferno in terra a quelle povere anime che, loro malgrado, ne hanno subito le conseguenze. Il genocidio dei tutsi del Ruanda, fatto accaduto non troppo tempo fa (nel 1994) rientra, purtroppo, a pieno titolo nel discorso da me intavolato in queste settimane. Le cronache che hanno riportato la notizia, parlano di un massacro di circa un milione di persone perlopiù, appunto, di etnia tutsi. A far tremare tutti noi sono le tempistiche: uno sterminio avvenuto in soli cento giorni. A far rabbrividire ulteriormente, sono i mezzi usati per portare a termine un “lavoro” di questo tipo. Il massacro fu portato avanti a colpi di spranghe e di fucile. Una prova di crudeltà che non può che rimarcare le caratteristiche di un essere, quello umano, che, purtroppo, continuiamo a non voler vedere, e capire, quello che realmente è. Come per gli Ebrei di Auschwitz, lo sterminio dei tutsi è stato dettato dalle credenze religiose, primo tassello che porta a tutto questo ma di certo non l’unico. Come ben sappiamo, le questioni religiose sono, o è quello che sembra, un pretesto per portare a termine un’eliminazione di massa. Naturalmente, come la storia ci insegna, sono le finalità politiche, economiche e sociali a dettare tale pratica, crudele e del tutto illegittima. I tutsi, come gli Indios americani, hanno trovato la loro Auschwitz all’interno del territorio natio; dentro le loro case; per delle colpe, come detto principalmente religiose, che non avevano di certo. A testimonianza di ciò, rimangono ai posteri quelle povere ossa, deturpate da ferite che mettono il punto esclamativo sulla follia selvaggia dell’uomo. Come per la questione dei nativi americani, questa vicenda, che vede coinvolta una comunità ben definita, sembra essere sparita dai radar dell’informazione. L’ennesima controprova che il tempo sembra portare via con sé quelle sofferenze patite, ma ormai lontane, come se queste non fossero mai avvenute. Come per la questione americana, anche in Africa non esiste una struttura come Auschwitz. Il campo di sterminio fu quella stessa terra che i tutsi amavano, coltivavano e vivevano. Sono testimonianze che non dobbiamo far sparire dai libri di storia. Vanno riproposte con forza, in tutto il mondo. Forse così, chissà, eviteremo che la follia si faccia largo per un non ben precisato ideale.

Armando

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