Eppure, tra ipotesi, supposizioni e traduzioni capaci di scenari sconcertanti, Zecharia Sitchin si era spinto oltre. Era pronto a giocarsi l’intera carriera, la reputazione e tutto il lavoro svolto in una vita dove lo studio e l’impegno sul campo lo hanno reso un infaticabile ricercatore, mettendo sul piatto una possibilità concreta, un’unica analisi capace di ricoprirlo di allori o, al contrario, farlo finire nel dimenticatoio come nient’altro che un incompetente. Dopo aver trascorso gran parte della sua vita a studiare e tradurre quei caratteri detti cuneiformi, simboli misteriosi in cui è racchiusa l’intera storia sumera, l’archeologo azero era arrivato a una conclusione ultima, forse quella più formidabile racchiusa all’interno delle sue teorie. Ebbene, tra gli esseri umani del tempo si nasconde, a detta sua, colei che viene indicata dalla civiltà sumera come Nin. Queste ultime tre lettere, che a noi non dicono nulla di così importante, corrispondono alla traduzione della parola conosciuta dalla nostra lingua come Dea. Quello che Sitchin afferma è la presenza, tangibile, tra noi, oggi sotto forma di scheletro, di una vera e propria dea fatta di materia organica. Niente di astratto, nulla da ipotizzare o venerare con la sola fede che accomuna i Credo sparsi su tutto il pianeta. Con tale affermazione tutto il mondo religioso, di ieri e di oggi, viene messo in discussione. Le similitudini tra mondo religioso sumero, greco e cristiano, ha sempre innalzato una sorta di muro simbolico tra l’essere umano e l’onnipotente, descritto spesso con le sembianze di un uomo ma, in quanto onnipotente, rimasto nell’alto dei cieli come a voler rimarcare la distanza tra lui e la sua creatura prediletta. La stessa storia di Gesù racconta del figlio di dio fattosi carne ma, al riscontro pratico, del suo corpo non abbiamo mai avuto una traccia reale su cui poter basare quegli scritti così affascinati ma rimasti, per più di due millenni, solo tali. Il caso della Regina Puabi sembra poter ribaltare le sorti della mitologia religiosa, facendola rientrare all’interno di fatti concreti, quindi realmente accaduti, in un passato confuso divenuto solo mito. La scoperta della sua salma da parte di Leonard Woolley, famoso archeologo attivo in Mesopotamia, datata 1922, riporta alla luce quelle spoglie che, secondo Sitchin, potrebbe segnare una svolta epocale per quanto riguarda la visione della mitologia così come la conosciamo e studiamo oggi. Se, come afferma lo scrittore azero, Puabi altro non è che una vera e propria dea, una donna arrivata da Niburu o una ibrida capace di contenere in sé il genoma sia umano che Annunaki, tutta l’epopea religiosa prenderebbe una piega ben diversa. Si inizierebbe a parlare di storia, non interpretazione; si parlerebbe di uomini e Dei presenti sullo stesso pianeta, in maniera attiva; in parole povere, così come si accenna all’interno de Le cronache terrestri, si guarderebbe ai fatti descritti all’interno dei testi sumerici, nel corano, nella bibbia, o su qualsiasi altro testo religioso, come a un qualcosa di concreto, di realmente accaduto, facendo decadere quell’aura mistico/religiosa avvicinando la figura del creatore a quella umana, rendendo l’onnipotenza descritta a nient’altro che scienza applicata. Puabi è la chiave di volta, colei che con il suo DNA straordinario sarebbe capace di sbloccare una volta per tutte quell’ingranaggio inceppato all’interno di quella porta chiamata conoscenza, non ancora scardinata dall’umanità. Quindi, come poter risolvere la questione? Per Zecharia Sitchin è più semplice da farsi che a dirsi: analizzare il DNA della donna per poter capire se le sue teorie sono esatte o meno. Vista così, soprattutto oggi in questo XXI secolo super tecnologico, la questione sarebbe facile da affrontare. Abbiamo il soggetto; abbiamo la scienza capace di poter fare ciò; abbiamo l’uomo, prima del il professionista dell’archeologia, pronto a tutto, persino a finanziare di tasca propria tutto il processo, pur di venire a capo di una questione affrontata dallo stesso fino alla sua morte. Nonostante ciò, Zecharia Sitchin non è mai stato accontentato. Il mistero sulla regina Puabi continuerà a rimanere tale in quanto la scienza ufficiale non ha accettato la richiesta di confronto su una questione, quella del pianeta Niburu e degli Annunaki, che non ha portato a nulla di concreto sin dal 1976. Arrivati a questo punto, chiediamoci:
Perché negare un’analisi tanto semplice da eseguire a un uomo di novant’anni, lo stesso che ha dedicato anima e corpo su una teoria così affascinante?
Zecharia Sitchin è deceduto nel 2010 senza avere la possibilità di confermare o smentire il suo lavoro. Si è parlato spesso di cospirazione, di un tentativo di depistaggio atto a non portare a galla la vera realtà divina della regina Puabi. Si è parlato di un possibile blocco arrivato nientemeno che dai più alti organi religiosi, terrorizzati dall’idea di vedere il loro castello sgretolarsi in un semplice schiocco di dita. Poi c’è una seconda strada, una seconda lettura della situazione. Alla luce delle ricerche effettuate sulla base della teoria riguardante gli Annunaki, tutte fallite e dove nessuna traccia reale ha mai visto la luce, i ricercatori hanno optato per questa scelta semplicemente per evitare a Zecharia Sitchin un dispiacere dovuto a un risultato che avrebbe potuto stroncare definitivamente la carriera di quell’uomo arrivato al tramonto della sua vita. Dopo aver passato tutta l’esistenza alla ricerca degli dei, del loro pianeta, della possibilità di una discendenza umana dovuta a questo contatto tra esseri simili ma diversi sotto il punto di vista evolutivo, mettere il punto esclamativo sulla sua carriera sarebbe stato un duro colpo per il morale dell’archeologo azero. La scienza ci ha sempre insegnato a essere concreti, realisti e razionali ma, nel caso in esame, sembra aver usato più il cuore che la testa.
Armando