L’allenamento in monofrequenza

È questo lo schema classico che viene utilizzato oggi nelle palestre. Consiste nel suddividere i gruppi muscolari principali in modo da allenarli ciascuno una volta a settimana. Solitamente i giorni designati per lo svolgimento di questa tipologia d’allenamento sono il lunedì, il mercoledì e il venerdì, in ogni caso si tende a rispettare un giorno di riposo tra gli allenamenti. La suddivisione vede nella maggior parte dei casi l’accoppiamento di 2 gruppi muscolari che vengono allenati nella singola seduta. Vi propongo un esempio classico di divisione:

Pettorali–Bicipiti;
Dorsali–Tricipiti;
Gambe–Spalle.

Naturalmente questa suddivisione non è l’unica possibile alternativa. In monofrequenza è anche possibile allenarsi più di 3 giorni, suddividendo magari l’allenamento in modo da allenare un singolo gruppo muscolare alla volta portando le sedute settimanali fino 6. La ruotine in se potrebbe anche andare bene nel lungo periodo. Infatti, l’allenamento in monofrequenza non solo è quello più comune ma sembra essere considerata la soluzione migliore dalla maggior parte degli istruttori e anche dei frequentatori. C’è da tenere conto di un parametro fondamentale: l’allenamento in monofrequenza, proprio perché la stimolazione sul singolo muscolo è a cadenza settimanale, ha bisogno di uno stress adeguato. Ha bisogno di un intensità di allenamento alta in modo da “giustificare” la pausa di 7 giorni tra una seduta e l’altra. È proprio l’approccio che si ha verso questa tipologia di allenamento che fa la differenza: senza impegno, senza costanza, senza tirar fuori la grinta che serve per poter portare a termine un allenamento in monofrequenza non si avranno i risultati sperati. In molti casi si ha la tendenza, da parte dell’istruttore, a far passare il soggetto che sembra non essere predisposto a questo approccio a quello in multifrequenza (argomento che tratterò nel prossimo articolo). Non è sbagliato fare ciò ma mi chiedo: è giusto non spronare il soggetto che sembra non impegnarsi abbastanza trovando un rimedio immediato? Secondo me no. È giusto cambiare in maniera ponderata lo split durante il corso dell’anno ma in questo caso credo sia meglio perseverare un po’ piuttosto che abbandonare questa strada. Uno sprono positivo non può che fare bene al soggetto in difficoltà, una volta affrontato il problema, adesso risolto, sarà più motivato nel proseguimento dell’allenamento. Si parla spesso di soggetti non idonei a questa tipologia di allenamento causa la scarsa attivazione muscolare ma…siamo davvero sicuri che questo sia sempre il reale problema? Non credo sia possibile attribuire questa caratteristica alla gran parte di soggetti che lavora in monofrenquenza. In molti casi è possibile che la causa sia nient’altro che la scarsa intensità di allenamento, quindi perseverare non può che confermare una delle 2 problematiche permettendo all’istruttore di avere un quadro il più reale possibile. Naturalmente, viste le sue caratteristiche, a questa tipologia vanno associate tecniche d’allenamento (piramidali; stripping; rest-pause ecc…) che permettano al corpo di progredire nel tempo. Si eviterà così lo stallo che una routine d’allenamento portato avanti nel lungo periodo potrebbe causare. Questa sembra essere una delle cause che porta a un cento punto dell’anno non solo lo stallo nei progressi ma addirittura all’abbandono della palestra da parte di molti frequentatori. La colpa di ciò non è da attribuire tutta all’istruttore: infatti il frequentatore che inizia a provare un malessere nei confronti dell’allenamento deve far presente questa nuova situazione. La cooperazione tra allenatore e allenato è fondamentale per poter arrivare a quei risultati che si sono prefissati all’inizio di questo percorso.

Armando

 

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